Press
Servizi / Press
Press
  • 31-05-2022
"IL DINIEGO DI CITTADINANZA MOTIVATO PER FATTO ILLECITO ALTRUI" di Greta Giambra

Tizio, dopo aver presentato istanza di concessione della cittadinanza italiana ai sensi del suddetto art. 9 L. n. 91/1992, riceveva la notifica della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo di diniego della cittandinanza.

Tale comunicazione conteneva il preavviso di respingimento dell’istanza, fondato sul solo presupposto che a carico dei prossimi congiunti del richiedente ci fossero nulerosi precedenti penali.

In tali circostanze, corre l'obbligo di verificare la sussistenza dei presupposti per ottenere l'annullamento dell'ordinanza.

L'interessato dovrà dimostrare, anzitutto, il suo inserimento sociale.

Ovvero, dovrà fornire la prova concreta in ordine allo svolgimento regolare della propria attività lavorativa, alla sua capacità di sostentamento e mantenimento proprio e della sua famiglia.

Considerato il caso di specie, deve essere stigmatizzato il principio che le circostanze ostative quando riferite “a persone diverse dall’istante” non sono idonee a giustificare il rigetto della domanda di cittadinanza (sic!) (v. Tar Lazio, Sez. II, Quater, n. 2108 del 15/1/2015);

In punto di diritto, la pubblica amministrazione, fermo restando il potere discrezionale nel concedere o meno la cittadinanza italiana nei confronti di uno straniero non può, in ogni caso, “esigere dallo straniero, per riconoscergli la cittadinanza, un quantum di moralità superiore a quella posseduta mediamente dalla collettività nazionale in un dato momento storico, sicché il giudizio sulla integrazione sociale dello straniero richiedente la cittadinanza italiana, sebbene debba tenere conto di fatti penalmente rilevanti, non può ispirarsi ad un criterio di assoluta irreprensibilità morale, nella forma dello status illesae dignitatis, o di impeccabilità sociale, del tutto antistorico prima che irrealistico e, perciò, umanamente inesigibile da chiunque, straniero o cittadino che sia. Un simile criterio, nella sua aprioristica purezza e in una visione eticizzante dello Stato portatore di una morale superiore ed escludente, implicherebbe l'impossibilità di ottenere la cittadinanza per il sol fatto di avere compiuto un reato, anche se non avente una concreta - concreta, si noti, e non meramente astratta o presunta - carica di disvalore morale o di pericolosità sociale per l'ordinamento giuridico”(Consiglio di Stato sez. III, 20/03/2019, n.1837).