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  • 07-11-2022
"LE NOTIZIE DI REATO OSTATIVE ALLA CONCESSIONE DELLA CITTADINANZA" di Simona Manganiello

La giurisprudenza ormai consolidata ha affermato la piena legittimità della scelta dell’Amministrazione nel valutare negativamente, ai fini del riconoscimento della cittadinanza, l'esistenza di notizie di reato che attingono i familiari conviventi, da intendersi quali elementi sintomatici del più o meno elevato grado di integrazione nel tessuto sociale del richiedente la cittadinanza; la valutazione delle condotte penalmente rilevanti a carico dei familiari conviventi, oltre a conferire indizi in ordine al grado complessivo di integrazione non solo del richiedente ma anche del contesto familiare cui lo stesso appartiene, è anche elemento da porre in valutazione con riguardo al bilanciamento degli interessi anche pubblici in gioco, poiché la concessione della cittadinanza ad un soggetto con relazioni di parentela ed affettive con soggetti non integrati o che hanno manifestato una scarsa adesione ai valori della comunità, potrebbe finire per compromettere gli interessi della stessa comunità (legati al fatto che, ad esempio, i parenti entro il secondo grado di un cittadino non sarebbero soggetti ad espulsione o potrebbero ottenere un permesso per motivi familiari).

In generale, quindi, la giurisprudenza si è espressa chiaramente nel senso di legittimare il diniego alla concessione della cittadinanza sulla base anche della valutazione dei legami familiari e parentali che possano dirsi indicativi di un certo grado di integrazione sociale e che possono essere indicativi anche di pericoli sul piano potenziale (TAR Lazio n. 10134 del 04/10/2021). 

Tale orientamento, che sembra avvallare l'esistenza di una vera e propria presunzione di non integrazione nel contesto sociale in caso di presenza di notizie di reato, sembra ammettere la possibilità della prova contriaria.

La giurisprudenza ha chiarito come trattandosi il provvedimento di concessione di un atto dotato di una ampissima discrezionalità da parte dell’amministrazione, anche la scelta di opporlo in sede giurisdizionale potrebbe risultare ammissibile solo in caso di un provvedimento viziato da eccesso di potere, rispetto al quale possano venire in rilievo l’illogicità o inadeguatezza della motivazione o dell’istruttoria, mentre nessun sindacato può sollevarsi con riferimento alla valutazione nel merito degli elementi acquisiti, che resta assorbita nel potere discrezionale della amministrazione.

Questi principi ormai pacifici e data la legittimità della valutazione svolta sulle condotte penalmente rilevanti del nucleo familiare, potrebbe residuare uno spazio di censura dei provvedimenti de qua in quanto le condotte dei congiunti sembrerebbero essere le uniche ad aver motivato il diniego all’acquisto della cittadinanza; probabilmente è utile acquisire gli elementi contrari forniti dalla Questura (cui fa riferimento il solo provvedimento contro Ibrand Dkolli) ed in generale le osservazioni trasmesse dagli interessati per comprendere se il quadro istruttorio del Ministero si sia esteso alla valutazione complessiva di tutti gli elementi a favore e contro l’acquisto della cittadinanza, e non anche si sia arrestato alla valutazione negativa delle condotte penalmente rilevanti dei soli congiunti.

Una valutazione di questo tipo – sulla ampiezza, in effetti, dell’istruttoria condotta dal Ministero – consentirebbe di evitare che la legittima valutazione di quello che dovrebbe costituire uno degli elementi di valutazione dell’istanza (condotta dei congiunti) diventi, con un automatismo non consentito, l’unico decisivo elemento di rifiuto dell’istanza.