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  • 21-09-2023
LA RICHIESTA DI DENARO DEL PUBBLICO UFFICIALE: TRA CONCUSSIONE E INDUZIONE IN ERRORE di Giovanni Renna

Nella totalità dei casi, alla verificazione di una ipotesi concussiva si giunge per il tramite dell’acquisizione delle dichiarazioni della vittima, capace di riferire sull’autore e sulla modalità della condotta.

Molto spesso, tali portati dichiarativi vengono arricchiti dagli esiti delle indagini, che si aprono dopo le segnalazioni, le quali constano di osservazioni o documenti video e fotografici che ritraggono le vittime e gli autori mentre si scambiano il denaro o altra utilità.

Il reato di concussione è caratterizzato da un abuso costrittivo del pubblico ufficiale che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di autodeterminazione del soggetto destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto davanti alla scelta se subire un danno o evitarlo, consegnando o promettendo un’indebità utilità[1].

La minaccia consiste, più in dettaglio, nella prospettazione agli occhi della vittima di un male ingiusto, cui questa può sottrarsi solo mediante l'indebita promessa o l'indebita dazione. La minaccia deve essere seria e idonea, secondo l'id quod plerumque accidit, ad insinuare nel soggetto passivo uno stato di timore tale da eliderne o viziarne in maniera significativa la volontà[2] [3].

Se il pubblico ufficiale non ricorre all'uso di violenza e/o minaccia ai danni dei soggetti fermati, occorre interrogarsi sulla rilevanza da attribuire al c.d. metus rei publicae potestatis, ossia quel particolare stato di timore e di soggezione in cui versa il privato a fronte della posizione di supremazia ricoperta dal pubblico ufficiale.

Se la giurisprudenza più risalente riteneva che il metus rei publicae potestatis costituisse requisito essenziale del delitto di concussione (Cass. VI, n. 9389/1994), l'opinione più recente ritiene che il metus non costituisca né un elemento essenziale del reato de quo né un elemento che, di per sé considerato, è sufficiente a ritenere configurato il reato stesso.

Da un lato, la costrizione che caratterizza l'ipotesi di concussione non si identifica necessariamente nella superiorità, nell'influenza o nell'autorità che il pubblico ufficiale può vantare rispetto al privato e, correlativamente, nella soggezione connaturata al rapporto privato-pubblica amministrazione; ciò che occorre è soltanto una costrizione qualificata, ossia prodotta dal pubblico ufficiale con l'abuso della sua qualità o dei suoi poteri, cosicché la successiva promessa o azione indebita sia l'effetto di quella costrizione e, cioè, della coazione psicologica esercitata dal pubblico ufficiale sul privato mediante l'abuso della sua qualità o dei suoi poteri. Tale stato d'animo, dunque, è requisito ordinario ma non essenziale del reato di concussione[4].

D’altra parte, anche quando il metus sussista, questo non è elemento da solo sufficiente a ritenere configurabile il reato di cui all’art. 317 c.p. La condotta prevaricatrice richiesta dalla norma non può, infatti, desumersi unicamente dalla condizione di superiorità del pubblico ufficiale rispetto al privato né dalla mera situazione di difficoltà di quest’ultimo, occorrendo che il p.u. dia causa alla condotta del soggetto passivo. Va da sé, quindi, che, ai fini della configurabilità del reato di concussione, non è di per sé sufficiente lo stato di timore riverenziale o autoindotto del destinatario di una richiesta illegittima proveniente da un pubblico ufficiale, neppure quando quest'ultimo riveste una posizione sovraordinata e di supremazia rispetto al primo[5] [6].

La presenza di una spinta motivazionale utilitaristica in capo al privato, che consegue alla prospettazione mediante blandizie ed implicite suggestioni di un indebito vantaggio per lo stesso, derivante dall’utilizzo distorto del potere pubblico, traccia l’elemento differenziale cardine tra condotta concussiva ed induttiva. L’oggettiva valutazione dei parametri discretivi richiesta dalle Sezioni Unite non può ormai prescindere dalla rilevanza che l’intenzione del privato, qui certat de lucro captando, assume nella scelta ordinamentale di valutare, ai sensi del nuovo art. 319-quater c.p., la condotta del pubblico ufficiale dotata di un minor disvalore e, contestualmente, quella del privato non esente da responsabilità penale per il fine opportunistico che lo muove a dare o promettere denaro od altra utilità.

Ricorre, infine, la truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale laddove la vittima viene indotta in errore dal soggetto qualificato circa la doverosità delle somme o delle utilità oggetto di dazione o promessa e la qualità di pubblico ufficiale concorre solo in via accessoria a condizionare la volontà del soggetto passivo (in applicazione di tale principio, la Corte ha qualificato come concussione la condotta di un dirigente medico in servizio presso il reparto di ginecologia di un ospedale che praticava aborti illegali presso il proprio studio privato. V. Cassazione penale sez. VI - 15/11/2016, n. 53444).


[1] V. Cass. Pen., Sez. VI, n. 30740/2018.

[2] V. Cass. Pen., Sez. VI, n. 33653/2020.

[3] V. Cass. Pen., Sez. III, 17/09/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 09/01/2020), n. 364 che ha annullato la sentenza di condanna degli imputati per concussione aggravata – per avere, abusando della propria qualità di agenti di polizia operanti presso i suddetti locali, indotto una o più prostitute ad avere rapporti sessuali senza pagamento di corrispettivo nonché ai danni dei gestori dei locali, per avere ottenuto la consegna in più occasioni di confezioni di bottiglie di champagne che venivano vendute ai clienti al prezzo di Euro 130 cadauna, senza pagarne il relativo corrispettivo – per assenza di prova rigorosa circa l'esistenza di una minaccia, non potendo questa essere costituita soltanto da “larvate minacce”;

[4] Cass. VI, n. 52/2002; Cass. Sez. VI, n. 4898/2003; 

[5] V. Cass. Pen. n. 28110/2010.

[6] V. Cass. Pen., Sez. VI, n. 22526/2015 che ha confermato la sentenza di assoluzione dell’imputato dall’accusa di concussione aggravata pronunciata in secondo grado per assenza della valenza costrittiva ed intimidatoria della richiesta formulata dall’imputato nonché per l’assenza della prova che la posizione di supremazia rivestita dall’imputato avesse determinato nell’interlocutore una situazione di soggezione (nel caso di specie, l’imputato, una carica dello Stato, aveva richiesto al suo interlocutore di prendersi carico di una ragazza minorenne fermata).