Press
Servizi / Press
Press
  • 05-10-2023
"MALTRATTAMENTI CONTRO FAMILIARI E CONVIVENTI: PRESUPPOSTI PER LA CONFIGURABILITÀ DEL REATO E CASI DI ESCLUSIONE" di Isabella Faggi

Al giorno d’oggi, sono plurimi i casi, anche di rilevanza mediatica, di denunce di atti di violenza – fisica o psichica – subiti nel contesto familiare.

Non sempre, però, tali atti sono idonei a configurare il grave reato di cui all’art. 572 c.p. (“Maltrattamenti contro familiari e conviventi”), il quale richiede presupposti specifici:

  • l’abitualità della condotta, intesa come sistematicità delle condotte cui necessariamente corrisponde lo stato di sofferenza fisica o morale cui il soggetto passivo, in quanto legato all’aggressore dal vincolo familiare, è naturalmente esposto;
  • lo stato di soggezione psicologica e fisica della p.o. o asimmetria nella relazione affettiva.

Il reato si configura, quindi, con il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi[1]. Il tutto, in un contesto di diseguaglianza di coppia in cui la violenza, anche psicologica, praticata dall'autore, determina un clima di umiliazione della vittima tale da lederne la integrità e la dignità[2].

 

Ebbene, spesso i Tribunali si trovano a dover valutare se, in presenza di singoli episodi aggressivi ai danni del convivente, sia configurabile il delitto de quo ovvero ci si trovi dinanzi ad una “normale” lite familiare.

La differenza tra il delitto di cui all'art. 572 c.p. e le ordinarie "liti" si fonda sulla esistenza o meno, all’interno della coppia o nel contesto familiare, di una asimmetria, di potere e di genere, tale che il destinatario della violenza versi in una condizione di soggezione e/o di subordinazione gerarchica. 

 

Alcuni dei criteri individuati dalla giurisprudenza per cogliere la differenza sono:

  • che vi sia o meno l'ascolto del giudizio e della volontà altrui;
  • che la relazione sia consapevolmente e strutturalmente sbilanciata a favore di uno solo dei due in ragione dell'identità sessuale; 
  • che emerga o meno un divario di potere fondato su costrutti sociali o culturali connessi ai ruoli di genere, tali da creare modelli comportamentali fissi e costanti di prevaricazione; 
  • che una parte approfitti di specifiche condizioni soggettive (età, gravidanza, problemi di salute, disabilità) per esercitare anche un controllo coercitivo; 
  • che si ripeta o meno, con modalità prestabilite e prevedibili, la soccombenza sempre dello stesso soggetto attraverso offese o umiliazioni o limitazioni della sua libertà personale o di esprimere un proprio autonomo punto di vista; 
  • che la sensazione di paura per l'incolumità o di rischio o di controllo riguardi sempre e solo uno dei due, anche attraverso forme ricattatorie o manipolatorie rispetto ai diritti sui figli minorenni della coppia[3].

 

D’altra parte, la giurisprudenza di merito ha escluso la configurabilità del reato in presenza di condotte connotate da discussioni verbali pur accompagnate da offese con occasionali atti di violenza fisica, connesse ad aspetti problematici della vita di coppia, in un contesto di gravi divergenze e conflittualità tra le parti, quando non evidenzino la volontà di prevaricazione e sottomissione della persona offesa; analogamente, il reato è stato escluso se in un contesto familiare di continua conflittualità la vittima risponde con capacità reattiva e non con un supino atteggiamento[4].

 

In conclusione, per integrare il delitto di cui all’art. 572 c.p., la violenza deve avvenire sempre e solo su un piano inclinato a favore dell'autore, con esiti sempre unidirezionati a vantaggio di questi; diversamente, se la conflittualità di coppia si sviluppa su un piano paritario, in cui i protagonisti si riconoscono reciprocamente come soggetti autonomi, dotati di dignità e libertà, con esiti del contrasto alterni, ovvero se le condotte sono reciproche e si pongono all’interno di un rapporto di alta conflittualità fra le parti, ci si troverà di fronte ad una “normale” lite familiare.

 

Ciò, ovviamente, non esclude che i singoli atti di violenza, fisica o psicologica, di volta in volta commessi possano integrare autonomi reati contro la persona (percosse, minacce, lesioni personali, ecc).

 

 


[1] Sez. U, n. 10959 del 29 gennaio 2016, P.O., Rv. 265893; Sez. 6, n. 3377 del 14/12/2022, dep. 2023, N., non mass.; Sez. 6, n. 19847 del 22/04/2022, M., non mass.; Sez. 3, n. 10378 del 08/01/2020;

[2] Sez. 6, n. 27171 del 06/06/2022;

[3] Sez. 6, n. 19847 del 22/04/2022;

[4] Trib. Campobasso n. 680/2022; Corte appello Bari sez. II, 10/05/2023, n.1578.