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  • 02-02-2024
"L'AMMINISTRAZIONE DI SOCIETÀ' DOPO L'APERTURA DI UNA PROCEDURA DI REGOLAZIONE CONCORDATA DELLA CRISI DI IMPRESA" di Giulio Petracchi

Ai sensi dell’art. 46 CCII, dopo il deposito della domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza, la società può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione solo previa autorizzazione del Tribunale che viene rilasciata su formale istanza della debitrice contenente “idonee informazioni sul contenuto del piano” (elemento indispensabile per la concessione del provvedimento autorizzativo).

Gli atti di amministrazione straordinaria disciplinati dall’art. 46 del CCII sono diversi dall’originaria dall’enucleazione fatta dall’art. 167 L.F. (quest’ultimo “I mutui, anche sotto forma cambiaria, le transazioni, i compromessi, le alienazioni di beni immobili, le concessioni di ipoteche o di pegno, le fideiussioni, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, le cancellazioni di ipoteche, le restituzioni di pegni, le accettazioni di eredità e di donazioni e in genere gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, compiuti senza l'autorizzazione scritta del giudice delegato, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato”), in quanto più ampi, in considerazione del fatto che la giurisprudenza, già prima che il nuovo codice venisse adottato, ne aveva allargato la portata fino a ritenere “straordinario” quell’atto suscettibile di pregiudicare i valori dell’attivo, compromettendone la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori, tenuto conto esclusivamente dell’interesse di questi ultimi e non dell’imprenditore insolvente (Cass. Civ., n.14713/2019).

Un atto di straordinaria amministrazione può essere identificato, per esempio, nell’opposizione ad un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate e Riscossione, con scadenza dopo il deposito del ricorso ex art. 46 CCII, in particolare qualora si ritengano insussistenti i motivi della contestazione tributaria.

In tal caso, ricorrere contro i provvedimenti emessi dall’AdE è senza dubbio nell’interesse della massa dei creditori, anche se appare opportuno valutare l’incidenza di una possibile soccombenza giudiziale della società, in particolare considerando che le eventuali spese di lite dovrebbero essere ammesse in prededuzione ai sensi dell’art. 46, comma 3 CCII.

In tale contesto, l’atteggiamento dell’amministratore e dei soci può avere un peso determinante nella concessione dell’autorizzazione da parte del Tribunale, in particolare quando essi precostituiscano un sistema di protezione del patrimonio della società finalizzato a neutralizzare l’eventuale pregiudizio che deriverebbe da una soccombenza giudiziale.

Tale principio si ricava, in via analogica, dalle pronunce della Corte di Cassazione (su tutte: sentenza n. 26646/2018), la quale ha ritenuto corretto il comportamento della società che non aveva chiesto l’autorizzazione all’introduzione di alcuni giudizi, pur in presenza di una "non certo irrealistica" probabilità di soccombenza, in ragione della preventiva assunzione, da parte dei soci, di tutte le eventuali conseguenze pregiudizievoli della soccombenza (anche con riferimento ai costi derivanti dall’assistenza dei legali della società, oltre che a quelli di controparte).