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  • 29-03-2021
“RILEVANZA PENALE DELL’ELUSIONE FISCALE E (AUTO)RICICLAGGIO, UN PERICOLO INSITO NELLA FORMULAZIONE DELLA NORMA PENALE” di Federico Mancini

L’espressa previsione della non punibilità della elusione fiscale prevista al comma 1-bis dell’art. 4 D.Lgs n. 74/2000 riesce solo in parte a contenere i rischi penali di tali fenomeni particolarmente insidiosi e complessi sotto il profilo tributario, infatti la norma non incide sulla rilevanza penale del fatto e non esclude, secondo una lettura attenta della disposizione, la configurabilità dei delitti di riciclaggio, impiego ed autoriciclaggio di cui agli artt. 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 c.p. in relazione alla ripulitura del profitto conseguito, qualificandosi l’elusione a tutti gli effetti come delitto, ancorché non punibile.

L’elusione fiscale costituisce uno dei temi più trattati in ambito tributario, essa consiste in un comportamento, di fatto rispettoso della norma, quindi lecito, posto in essere per conseguire un vantaggio fiscale indebito. L’art. 10-bis della legge 212 del 2000, introdotto nel 2015, definisce l’abuso del diritto come una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. La norma prosegue sancendo l’inopponibilità delle operazioni abusive all’amministrazione finanziaria, la quale, di conseguenza, non incide sull’operazione elusiva sul piano civilistico ma si limita a disconoscerla ai fini fiscali, sottoponendola al regime più corretto.

Per molti anni l’elusione è stata ricondotta dalla giurisprudenza all’art. 4 del decreto 74 del 2000, quindi al reato di dichiarazione infedele, purché la condotta elusiva rientrasse fra quelle espressamente individuate all’art. 37-bis del D.P.R. 600 del 1973. Prima della introduzione dell’art. 10-bis, infatti, l’elusione era disciplinata dall’art. 37-bis del decreto 600, il quale elencava in modo tassativo i comportamenti considerati elusivi. La scelta del legislatore presentava diverse criticità dovute, in particolare, alla formulazione poco chiara della norma che, insieme alla intrinseca oscurità del fenomeno elusivo, rendeva difficile prevedere da parte del contribuente quali comportamenti sarebbero stati qualificati come elusivi dall’amministrazione finanziaria, provocando evidenti tensioni con i principi costituzionali di tassatività e determinatezza sotto il profilo penale. 

Per tali ragioni il legislatore, con il decreto 158 del 2015, ha abrogato l’art. 37-bis e ha introdotto nella legge 212 del 2000 l’art. 10-bis, il cui comma 13 sancisce che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie.

Spostando lo sguardo dai delitti tributari ai delitti contro il patrimonio, tuttavia, la formulazione del comma 13 potrebbe vanificare gli intenti del legislatore. A ben vedere, infatti, l’art. 10-bis si limita a escludere la punibilità dell’elusione senza inciderne la rilevanza penale. Benché non punibili, le condotte elusive riconducibili all’art. 4 del decreto 74 del 2000 sono sempre tipiche e i relativi proventi sono qualificabili come illeciti, derivando essi da un fatto tipico, anche se non antigiuridico. Risulta quindi possibile, in astratto, configurare i reati di riciclaggio, impiego e autoriciclaggio in relazione alle condotte di ripulitura del provento dell’elusione, purché esse siano riconducibili al reato di infedeltà dichiarativa, nonostante la punibilità dell’elusione sia espressamente esclusa dall’art. 10-bis. 

Il tema è sicuramente di grande interesse e, con tutta probabilità, nei prossimi anni sarà al centro dell’attenzione della dottrina e della giurisprudenza, stimolando nuovi dibattiti in merito alla opportunità di incriminare l’elusione fiscale. Peraltro, il rischio che le problematiche tensioni con il principio di legalità possano “uscire dalla porta” del comma 13 e “rientrare dalla finestra” del riciclaggio potrebbe essere evitato aderendo all’impostazione dottrinale che limita la portata dell’ultimo comma dell’art. 648 c.p. alle sole cause soggettive di non punibilità, estendendo le cause oggettive di non punibilità del reato presupposto al reato presupponente. Per approfondimenti si rinvia a Dorigo S., “Reati tributari”, in Rodolfo Sacco (a cura di), “Digesto delle discipline privatistiche, sezione commerciale”, pp. 389-390, e Perini A., “Reati tributari”, in Gaito Alfredo (a cura di), “Digesto delle discipline penalistiche: aggiornamento”, pp. 584-585.