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  • 17-05-2021
“MORTI BIANCHE SUL LAVORO: QUANDO IL DATORE DI LAVORO VA ESENTE DA RESPONSABILITÀ” di Isabella Faggi

Il tema delle cd. “morti bianche” è tornato alle cronache dopo il recente infortunio mortale verificatosi ai danni di una giovane operaia all’interno di un’azienda del territorio pratese.
In casi come questo, la prima persona ad essere iscritta del Registro degli Indagati è il Datore di Lavoro, nei confronti del quale vengono eseguite indagini al fine di verificare l’osservanza da parte del medesimo degli obblighi imposti dalla normativa in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (D.lgs 81/2008).
Ma quali sono i casi in cui il Datore di Lavoro può andare esente da responsabilità per omicidio colposo ex art. 589 co. 2 c.p.?
1)    Il Datore di Lavoro non è titolare della posizione di garanzia con riferimento alla specifica area di rischio.
Il contesto della sicurezza sul lavoro fa emergere la centralità dell’idea di rischio. 
Esistono, invero, diverse aree di rischio, connesse alla specifica attività svolta nel luogo di lavoro, e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare.
Soprattutto nei contesti lavorativi più complessi, è necessario differenziare non solo le aree di rischio ma anche distinte sfere di responsabilità gestionale; esse mirano a conformare e limitare l’imputazione penale dell’evento al soggetto che viene ritenuto “gestore” dello specifico rischio. 
In altre parole, garante è il soggetto che gestisce e governa autonomamente il rischio.
Una volta riconosciuta e prevista, all’interno del Documento di Valutazione Rischi, la sfera di rischio, deve individuarsi la figura istituzionale chiamata a governare il rischio medesimo e, conseguentemente, la persona fisica che sarà chiamata a gestirlo.
La sfera di responsabilità organizzativa e giuridica così delineata può essere generata sia dall’investitura formale, attraverso la cd. delega di funzioni e l’assunzione da parte del soggetto individuato della qualifica di Datore di Lavoro alla Sicurezza ex T.U. 81/2008 e Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), ovvero dall’esercizio di fatto da parte del medesimo delle funzioni tipiche della figura di garante (cd. Principio di effettività).
In virtù di ciò, nel caso in cui l’infortunio mortale costituisca la concretizzazione dello specifico rischio che il garante, come sopra individuato, era chiamato a gestire e governare, qualora tale figura sia distinta da quella del datore di lavoro, la responsabilità penale per il debito di sicurezza che ha causato l’evento dovrà essere imputata esclusivamente al primo e non anche al secondo. 
2)    Il comportamento abnorme, eccezionale ed imprevedibile del lavoratore.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito in quali ipotesi debba escludersi la responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni subiti dai dipendenti, precisando che, pur essendo il datore di lavoro garante anche della correttezza dell'agire del lavoratore, la stessa è esclusa in caso di dolo o di rischio elettivo del lavoratore, ossia di rischio generato da un'attività estranea alle mansioni lavorative o esorbitante da esse in modo irrazionale. 
L'esonero della responsabilità del datore di lavoro si verifica, dunque, quando il comportamento del lavoratore presenti i caratteri "dell'abnormità, dell'inopinabilità, dell'esorbitanza" rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute, o "dell'atipicità e dell'eccezionalità". 
Per “abnorme, inopinabile, esorbitante” deve ritenersi il comportamento del lavoratore che si ponga all’esterno dell’area dell’ipotizzabilità rispetto alle possibilità di azione del lavoratore stesso nello svolgimento delle proprie mansioni e, come tale, non sia preventivamente tutelabile da parte del datore di lavoro (v. Cass. civ., sez. lav., 18.05.2017, n. 12561).
La pronuncia sopra richiamata fornisce solo un parametro di giudizio per consentire di individuare il comportamento abnorme del lavoratore, senza tuttavia fornire un numerus clausus di ipotesi o una casistica applicabile anche in via analogica, e, pertanto, rimettendo la valutazione in capo al Giudice del merito. 
Ad ogni modo, la Suprema Corte ha chiarito che il comportamento abnorme del lavoratore che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, vale a configurare una causa sopravvenuta sufficiente alla produzione dell’evento, e quindi interruttiva del nesso causale, ai sensi dell’art. 41 c.p. (v. Cass. pen., sez. IV, 29.03.2018, n. 31615).
La rassegna giurisprudenziale sopra riportata consente, allora, di integrare il parametro di giudizio in ordine alla qualificazione di abnormità in riferimento al comportamento del lavoratore ai fini dell’esclusione della responsabilità del datore di lavoro. Peraltro, la dottrina ha evidenziato come la giurisprudenza stia, negli ultimi tempi, modificando parzialmente il proprio orientamento, riqualificando la figura del lavoratore, un tempo considerato mero soggetto passivo degli obblighi di tutela di cui alla normativa antinfortunistica, riconoscendo, in capo allo stesso, precisi obblighi di rispetto della normativa in tema di sicurezza sul lavoro ed ampliando gradatamente le ipotesi di esclusione della responsabilità del datore di lavoro per i danni da infortunio sul lavoro, valorizzando, anche, oltre al ruolo collaborativo del lavoratore nell’applicazione della normativa antinfortunistica, la ragionevolezza del comportamento dello stesso, la cui mancata sussistenza vale a ritenere il comportamento irragionevole del lavoratore come idoneo ad interrompere il nesso di causalità ai sensi dell’art. 41 c.p. e ad escludere, dunque, la responsabilità del datore di lavoro perché il fatto non costituisce reato.