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  • 28-05-2021
“VIZI DELL’IMMOBILE: CASI DI DENUNCIA E AZIONI ESPERIBILI A TUTELA DEL PROPRIETARIO” di Greta Giambra

Macchie di muffa sulle pareti, rovina dell’intonaco, infiltrazioni d’acqua, malfunzionamento dell’impianto termico, presenza di tracce di ruggine su ringhiere e cancelli. 

Questi e tanti altri sono i problemi che possono essere comunemente riscontrati in conseguenza della consegna di un immobile. 

Ebbene, come comportarsi in questi casi? Quando i vizi riscontrati configurano un pregiudizio tale da rientrare nella nozione di “gravi difetti” e, pertanto, è possibile procedere alla denunzia degli stessi? Entro quanto tempo? Su chi grava l’onere di provare l’effettiva esistenza di tali difformità?

Tutte domande sulle quali è bene fare chiarezza data la frequenza con cui la collettività si imbatte nella questione. 

Il legislatore differenzia la disciplina relativa alla garanzia per vizi dell’opera sulla base del soggetto denunciante gli stessi; nello specifico, occorre distinguere se ciò sia avvenuto da parte del compratore (ex art. 1495 c.c.) o da parte del committente dell’appalto (ex art. 1667 ss. c.c.).

Nella prima ipotesi, qualora i vizi non siano denunciati al venditore entro otto giorni dalla scoperta, il compratore decade dal diritto di garanzia per vizi e la relativa azione si prescrive entro un anno dalla consegna; anche se, il codice civile precisa che “il compratore, che sia convenuto per l’esecuzione del contratto, può sempre far valere la garanzia, purché il vizio della cosa sia stato denunciato entro otto giorni dalla scoperta e prima del decorso dell’anno dalla consegna”.

Ebbene, relativamente all’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c., è pacifico che gravi sul compratore l’onere di dimostrare la sussistenza dei vizi asseriti, nonché l’esistenza dei danni ed il relativo nesso di causalità. Infatti, secondo un’ormai consolidata giurisprudenza, “in tema di azioni di garanzia per i vizi della cosa compravenduta, l’onere della prova dei difetti e delle eventuali conseguenze dannose, nonché dell’esistenza del nesso causale tra i primi e le seconde, fa carico al compratore che faccia valere la garanzia, mentre la prova liberatoria della mancanza di colpa incombente sul venditore opera soltanto quando la controparte abbia preventivamente dimostrato l’effettiva sussistenza della sua denunciata inadempienza (cfr. Tribunale Crotone, 08/04/2020, n.340; in tal senso anche, Cassazione civile, Sez. III, 31/07/2017, n.18947;  Cass. Civ. 16/06/2000 n. 8187; Cass. Civ., n. 8963/1998; Cass. Civ., Sez. II, 29/11/1996,  n. 10624).

Ben diverso è, invece, il caso in cui sia il committente a denunziare all’appaltatore le difformità o i vizi dell’opera, poiché, ai sensi dell’art.1667 c.c., ciò deve avvenire entro sessanta giorni dalla scoperta degli stessi e la relativa azione si prescrive in due anni dal giorno di consegna dell’opera. 

Sotto questo profilo, la Suprema Corte, nel corso degli anni, ha raggiunto un consolidato orientamento in relazione all’ambito di operatività degli artt. 1667 e 1669 c.c. 

In particolare, in tema di appalto, viene applicata la disciplina di cui all’art. 1667 c.c. qualora i “lamentati (e accertati) vizi dell'opera non incidano negativamente sugli elementi strutturali essenziali di questa e, quindi, sulla sua solidità, efficienza e durata, ma solamente sul suo aspetto decorativo ed estetico, cosicché il manufatto, pur in presenza dei riscontrati difetti, rimanga integro quanto a funzionalità e uso cui sia destinato” (Cass. Civ. 10/06/2011 n. 12879). 

Inoltre, è pacifica la natura extracontrattuale dell’azione di responsabilità prevista dall’art. 1669 c.c., infatti, “la responsabilità dell’appaltatore per gravi difetti dell’opera, ai sensi dell’art. 1669 c.c., si distingue nettamente da quella per vizi e difformità denunziabili, ex art. 1667 c.c., con l’azione di responsabilità contrattuale e per i quali non è richiesto che necessariamente incidano in misura rilevante sull’efficienza e la durata dell’opera. Ne consegue che le infiltrazioni d’acqua e di vento se di modesta entità tali cioè da non condizionare la funzionalità globale dell’opera, lamentate dal committente nei confronti dell’opera consegnata dall’appaltatore, non sono idonee a configurare l’ipotesi di responsabilità extracontrattuale” (Cass. Civ. 03/08/2010 n. 18032). 

A tal proposito, la giurisprudenza recentemente si è pronunciata più volte, offrendo specificazioni sempre più stringenti e puntuali circa la corretta interpretazione della nozione di “gravi difetti” di costruzione, di cui espressamente tratta l’art. 1669 c.c. 

In particolare, tale norma viene applicata “anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest'ultimo (Cass. S.U. n. 7756/2017), pacifico essendo che tra gli elementi secondari sono da ricomprendersi anche rivestimenti ed infissi, purché le infiltrazioni e le altre problematiche da essi derivanti pregiudichino la normale fruibilità dell'immobile secondo la sua destinazione, benché siano eliminabili con interventi di ordinaria manutenzione, ed indipendentemente dal costo di questi ultimi (cfr. Trib. Milano, Sez. VII, 14/10/2018, n. 10386; Cass. n. 8140/2004).

I gravi difetti di costruzione “non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell'edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando soltanto una parte condominiale, incida sulla struttura e funzionalità globale dell'edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile, come nell'ipotesi di infiltrazioni d'acqua e umidità nelle murature. Tuttavia, affinché possa attivarsi la garanzia extracontrattuale, i fenomeni infiltrativi devono essere talmente diffusi e penetranti da compromettere la funzionalità e il godimento del bene” (Trib. Bari, Sez. II, 23/07/2020, n. 2409; Trib. Brindisi 19/03/2018, n. 376). 

Infine, viene fatto rientrare in tale nozione anche “qualsiasi alterazione, conseguente ad un'insoddisfacente realizzazione dell'opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la "rovina" od il "pericolo di rovina"), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l'impiego duraturo cui è destinata, incida in modo negativo e considerevole sul godimento dell'immobile medesimo, menomandolo in misura apprezzabile, come nell'ipotesi di infiltrazioni d'acqua e umidità nelle murature ovvero per difetto di copertura dell'edificio” (Tribunale Cosenza, Sez. II, 30/06/2019, n.1417). 

Alla luce di quanto esposto, stante l’effettiva difficoltà nel riconoscimento degli eventuali vizi da cui può essere affetto un immobile, occorre che le difformità siano tali da pregiudicare in maniera considerevole la normale fruibilità ed il godimento del bene.