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  • 08-04-2021
“IL DIVIETO DI PRODURRE LA CORRISPONDENZA SCAMBIATA CON IL COLLEGA: AMBITI DI APPLICAZIONE” di Federico Mancini

Il Consiglio Nazionale Forenze precisa che il divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega di cui all’art. 48 CDF (già art. 28 del precedente Codice) non si limita alle sole missive indirizzate al procuratore ma si estende a tutta la corrispondenza che il collega ha emesso avvalendosi della dicitura “riservata e personale” o comunque inerenti a proposte transattive, poiché altrimenti la ratio della norma sarebbe inevitabilmente pregiudicata e il procuratore sarebbe condizionato nell’esercizio della professione, dimostrandosi inoltre una minor credibilità e lealtà da parte del procuratore che impiega la documentazione ricevuta aderendo a una interpretazione restrittiva della disposizione.

Secondo il C.N.F., benché con l’entrata in vigore del nuovo Codice Dentologico Forense sia stato introdotto il principio di tipizzazione delle condotte, ai sensi dell’art. 3 comma 3 della Legge n. 247/12,  il principio deve trovare applicazione “per quanto possibile”, riconoscendosi una generale – ed inevitabile – impossibilità di prevedere e individuare specificamente e analiticamente tutti i possibili illeciti disciplinari.

L’alveo degli illeciti disciplinari – prosegue il CNF – deve necessariamente ricomprendere ogni condotta, ancorché non espressamente tipizzata, lesiva della funzione e dell’immagine dell’avvocatura, desumibile dai generali doveri previsti nella parte generale del nuovo CDF.

Il C.N.F. riconosce pertanto che “l’art. 28 del vecchio CDF (ora integralmente trasfuso nell’Art. 48 del nuovo CDF) vietava di produrre o riferire in giudizio sia la corrispondenza espressamente qualificata come riservata quale che ne fosse il contenuto, e sia la corrispondenza, per quanto non provvista della clausola di riservatezza, in cui erano riportate ipotesi transattive della controversia.

La norma deontologica era dettata, così come d’altronde è previsto nell’art. 48 del CDF vigente, a salvaguardia del corretto svolgimento dell’attività professionale (in attuazione della sostanziale difesa dei clienti che, attraverso la leale coltivazione di ipotesi transattive, possono realizzare una rapida e serena composizione della controversia) e mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario, nel senso che il primo, quando scrive ad un collega di un proposito transattivo, non può e non deve essere condizionato dal timore che il contenuto del documento possa essere valutato in giudizio contro le ragioni del suo cliente; mentre, il secondo, deve essere portatore di un indispensabile bagaglio di credibilità e lealtà che rappresenta la base del patrimonio di ogni avvocato.

Il precetto deontologico in oggetto, quindi, preclude sempre all’Avvocato la possibilità di produrre in giudizio la corrispondenza intercorsa tra i difensori delle parti in causa sia quella qualificata come riservata (e ciò a prescindere dal suo contenuto) e sia quella (pur non qualificata come riservata) contenente proposte transattive avanzata in nome e per conto del proprio assistito a nulla rilevando le modalità di come l’Avvocato sia venuto in possesso della corrispondenza riservata (ricevuta direttamente da precedente difensore o dal cliente etc… )

In altre parole la corrispondenza riservata non può mai essere prodotta direttamente in giudizio dal difensore […]” (Sent. n. 99 del 12 settembre 2018 C.N.F.)

Nel caso in cui un procuratore impieghi comunicazioni riportanti la dicitura “riservata e personale” risulta irrilevante il fatto che il destinatario non sia un avvocato, poiché quanto riferito, a maggior ragione se relativo a proposte transattive, è stato prospettato facendo affidamento sulla validità di tale dicitura nonché confidando nella riservatezza della corrispondenza in ogni caso garantita dai principi sanciti dal Codice Deontologico, in particolare all’art. 48, secondo il quale la corrispondenza riservata non può mai essere prodotta in giudizio.